Il danno da perdita di "chance" di guarigione o di sopravvivenza presuppone che il paziente, benché malato grave o anche gravissimo, abbia tuttavia ancora dinanzi - ove la condotta medica fosse corretta - la possibilità di uscire da tale situazione mediante una guarigione o una sopravvivenza di entità consistente, misurabile in termini di anni (cd. lungo-sopravvivenza) e si distingue dal diverso pregiudizio alla qualità della vita nel tempo conclusivo dell'esistenza, il quale presuppone, invece, che il paziente versi nella condizione di malato terminale, la cui sopravvivenza - sempre nell'ipotesi di condotta medica corretta - sia circoscritta ad un tempo limitato, misurabile in termini di poche settimane o di pochi mesi (Cassazione civile sez. III, 27/06/2018, n. 16919).
E' stato precisato che la sussistenza di una privazione di chance di sopravvivenza, quale evento di danno distinto dalla prospettiva dell'anticipazione dell'evento fatale (ossia della riduzione della durata della sua vita), può essere fondatamente esclusa, qualora la possibilità per il paziente di sopravvivere alla situazione ingravescente risulti talmente labile e teorica da non poter essere determinata neppure in termini statistici e scientifici probabilistici e, ancor meno, equitativamente quantificata, fermo restando che il valore statistico/percentuale - se in concreto accertabile - può costituire al più un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto, onde distinguere la concreta possibilità dalla mera speranza (Tribunale Roma sez. XIII, 03/04/2020, n. 5749).
In caso di perdita di una "chance" a carattere non patrimoniale, il risarcimento non potrà essere proporzionale al "risultato perduto" (come ad es., maggiori "chance" di sopravvivenza di un paziente al quale non era stata diagnosticata tempestivamente una patologia tumorale con esiti certamente mortali), ma andrà
commisurato, in via equitativa, alla "possibilità perduta" di realizzarlo (intesa quale evento di danno rappresentato in via diretta ed immediata dalla minore durata della vita e/o dalla peggiore qualità della stessa); tale "possibilità", per integrare gli estremi del danno risarcibile, deve necessariamente attingere ai parametri della apprezzabilità, serietà e consistenza, rispetto ai quali il valore statistico-percentuale, ove in concreto accertabile, può costituire solo un criterio orientativo, in considerazione della infungibile specificità del caso concreto (Cassazione civile sez. III, 19/03/2018, n.6688).
Di recente gli Ermellini sono tornati sul corrispondente tema e, con Sentenza n. 26851 del 19/09/2023, hanno enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità sanitaria, ove sia accertato, secondo i comuni criteri eziologici, che l'errore medico abbia anticipato o anticiperà la morte del paziente, sarà risarcibile al paziente stesso o, ove la morte sia intervenuta in momento antecedente all'introduzione della lite, agli eredi "iure hereditario", solo il danno biologico differenziale determinato dalla peggiore qualità della vita effettivamente vissuta e il danno morale da lucida consapevolezza della anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile se esistente e soltanto a far data dall'altrettanto eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita; ove, invece, vi sia incertezza sulle conseguenze "quoad vitam" dell'errore medico, il paziente, o i suoi eredi "iure hereditario", potranno pretendere il risarcimento del danno da perdita delle "chance" di sopravvivenza, ricorrendone i consueti presupposti di serietà, apprezzabilità, concretezza e riferibilità eziologica certa della perdita di quella "chance" alla condotta in rilievo. In nessun caso sarà risarcibile "iure hereditario" un danno da "perdita anticipata della vita", risarcibile soltanto "iure proprio" ai congiunti quale pregiudizio da minor tempo vissuto dal congiunto.”.
Alla luce di tale principio emerge, ergo, che se l'errore medico ha anticipato o anticiperà la morte del paziente, gli sarà risarcibile o, ove sia deceduto in momento antecedente all'introduzione della lite, agli eredi "iure hereditario", solo il danno biologico differenziale determinato dalla peggiore qualità della vita effettivamente vissuta e il danno morale da lucida consapevolezza della anticipazione della propria morte, eventualmente predicabile se esistente e soltanto a far data dall'altrettanto eventuale acquisizione di tale consapevolezza in vita.
Avv. Giulio Costanzo